A tutti noi è capitato di coinvolgerci quando ci capita di osservare quei percorsi sotterranei nascosti che nei tempi andati si costruivano come collegamenti sicuri tra due luoghi o come vie di fuga in caso di pericolo. I collegamenti c’erano ma ai più erano ovviamente sconosciuti.
Qualcosa del genere deve essere esistito tra la Serenissima Repubblica di Venezia e il territorio abruzzese perché ci sono molte tracce di traffici intercorsi privi, però, di sufficienti riscontri documentali.
Tentiamo di fare una rassegna di queste tracce riguardanti un rapporto che, nel nostro caso, ha seguito evidentemente un percorso sottomarino.
Con una certa frequenza gli osservatori più attenti del nostro territorio incappano in inattesi richiami alla Serenissima Repubblica di Venezia. Inattesi perché di questa importante realtà storica si continua a ignorare l’entità dei rapporti con le terre abruzzesi e in troppi si sorprendono addirittura per la loro esistenza. Le relazioni tra i due territori saranno stati quasi esclusivamente a livello commerciale, considerando la vocazione per questo tipo di attività dei cittadini veneziani e dello stesso Stato che li rappresentava, ma non sono noti studi sufficientemente approfonditi da permettere di identificare un quadro chiaramente delineato. Tutto è rimasto fermo a livello di curiose rilevazioni occasionali.
Come primo esempio, prendiamo il racconto sulle origini leggendarie della città di Guardiagrele riportato da Gennaro Finamore tra le sue Novelle Popolari Abruzzesi pubblicate verso la fine del secolo XIX.
Non vogliamo in questa sede analizzare il contenuto del racconto, bensì il particolare che esso è attribuito ad un contadino, Antonio Lisio, il quale asserisce che il suo cognome è una deformazione di Venezia, territorio di provenienza dei suoi antenati. Classificato questo particolare come una curiosità, generalmente si passa oltre.
Un altro esempio si può ricavare considerando le cittadine di Pescocostanzo o Scanno, rinomate per le artistiche lavorazioni dei merletti. Lo sviluppo di queste tecniche artigianali nei due centri sarebbe da attribuire all’arrivo di maestranze dalla Lombardia per la riedificazione dei centri dopo devastanti terremoti nei secoli post-medievali. Sarebbero state le donne al seguito a introdurre la pregiata lavorazione al tombolo. Solo qualcuno, in subordine, avanza l’ipotesi che l’introduzione sia conseguenza diretta dei rapporti commerciali con la Serenissima Repubblica. E se non fosse solo un’ipotesi subordinata? Indicazioni rilevanti per suffragare una delle ipotesi non ve ne sono.
Spostandoci un po’ più a sud troviamo quello che si può considerare il caso più clamoroso, Agnone (sì, certo, oggi è nel Molise ma era Abruzzo fino a tutto il XVIII secolo). Senza scendere nei dettagli, invitiamo chi ancora non lo avesse fatto a visitare il caratteristico quartiere veneziano e la chiesa di San Marco Evangelista. In questo caso la presenza veneziana sembra maggiormente motivata e si ricollega all’arrivo di soldati e artigiani all’inizio del secondo millennio al seguito di capitani di ventura locali (uno o più) ingaggiati dalla Repubblica di Venezia. Viene specificato che probabilmente l’origine di questa popolazione non era il Nord-Est italiano ma la costa dalmata prospiciente l’Abruzzo, territorio appartenuto alla Serenissima per molti secoli.
A proposito della considerazione in cui erano tenuti gli uomini d’arme abruzzesi da parte dei veneziani, saltiamo all’estremo settentrionale della regione per ricordare la Repubblica di Senarica. Questo piccolo centro, attualmente abitato da qualche centinaio di anime e, amministrativamente, frazione del comune di Crognaleto, in provincia di Teramo, a metà del XIV secolo ottenne l’indipendenza dal Regno di Napoli come riconoscimento del valore dimostrato dai suoi abitanti nel respingere l’invasione di truppe inviate dai Visconti. Questi Signori lombardi, acerrimi nemici dei Veneziani sul territorio padano, con l’invio di truppe nel Meridione, avevano anche minacciato gli interessi veneziani nel Centro-Sud della penisola. A maggiore salvaguardia di questi interessi, la Serenissima Repubblica di Venezia sottoscrisse un’alleanza con la Repubblica di Senarica che prevedeva, tra le altre cose, che quest’ultima garantisse alle milizie delle Serenissima l’apporto di due suoi soldati in caso di guerra!
Fermiamoci un attimo a riflettere: come possono essere accaduti questi fatti se la Serenissima non avesse avuto solide relazioni con il territorio abruzzese? Aggiungiamo che i rapporti intrattenuti dalla Repubblica di Venezia con altri Stati erano sostanzialmente di tipo commerciale e non militare, quindi il caso di Senarica, per quel che se ne sa, è da ritenersi più che altro il riconoscimento di un patronato a tutela di interessi economici nel territorio. A conferma di questo, torniamo indietro di alcuni secoli per evidenziare un particolare poco noto ma molto significativo.
All’epoca della costituzione del Sacro Romano Impero (fine del VII secolo) il territorio controllato da Venezia era ancora nominalmente compreso nell’Impero Romano d’Oriente ma l’autorità da questo esercitata era ormai quasi completamente scemata. Fu così che nell’840 l’Impero carolingio e il Dogado veneziano, senza il patronato bizantino, sottoscrissero il Pactum Lotharii, un atto che sostanzialmente raccoglieva e formalizzava una serie di accordi preesistenti.
Il trattato descriveva i territori di terraferma sui quali Venezia poteva vantare diritti definendo, di conseguenza, i confini con l’Impero. Particolare «strano» - e in un certo senso clamoroso – è che oltre ai territori intorno alla laguna, appartenenti al Dogado, si menziona una città per la quale si applica parimenti il contenuto del trattato: Penne!
Anche in questo caso gli storici hanno manifestato una certa riluttanza nell’avventurarsi in analisi approfondite circa le motivazioni di questa presenza.
Quello che però si può ragionevolmente dedurre è che la città abruzzese, all’epoca di primaria importanza, fosse un mercato di riferimento per il commercio veneziano, soprattutto per l’acquisto di materie prime e merci di utilizzo quotidiano (le merci più raffinate, infatti, provenivano prevalentemente dall’Oriente). Si può ipotizzare che a Penne i veneziani acquistassero legno di castagno e castagne essiccate, lana e manufatti in lana, stoviglie in terracotta. Queste merci erano importantissime per equipaggiare le navi commerciali e militari alla partenza o durante i lavori che si conducevano nell’arsenale di Venezia.
A questo punto non si può escludere (anzi!) che i rapporti commerciali tra Abruzzo e Serenissima siano stati molto più importanti di quanto percepibile nella storiografia più popolare. È noto che gli storici si pongono pregiudizialmente il problema delle fonti che, nel nostro caso, sono purtroppo desolatamente scarse. Se invece si volesse cercare di definire il disegno di un mosaico ampiamente incompleto è sempre possibile far ricorso al criterio del verosimile sulla base delle poche tessere disponibili. Il risultato, per quanto storicamente discutibile, potrebbe essere di indubbio interesse.
Incominciamo con il ricordare che l’Abruzzo, per vari motivi, non ha mai avuto centri di prima grandezza dal punto di vista economico e militare. Nel corso dei secoli, varie città sono cresciute attraverso alterne vicende, ma senza che nessuna di esse raggiungesse neanche il livello di potenza regionale. Il risultato è stato quello di avere molti centri di media grandezza che nel tempo hanno assunto una certa importanza, anche se non tale da indurre le maggiori potenze nelle varie epoche a sottoscrivere con essi accordi di cui sarebbe restata traccia. Facciamo un esempio abbastanza significativo.
A causa della conformazione del territorio, il commercio di prodotti abruzzesi via terra è stato sempre molto difficoltoso. Utilizzare le rotte marine è stato per tanti secoli più agevole ma non si disponeva di marinerie locali in grado di supportarlo. Per oltre un millennio il mare Adriatico è stato sotto il controllo di Venezia tanto che, per un periodo, veniva identificato come Golfo di Venezia nella sua interezza. Nel Settentrione della penisola, attraverso accordi tra i vari Stati, Venezia si era assicurata un generale controllo sui commerci. Nei territori adriatici centro-meridionali il predominio commerciale della Serenissima avveniva con modalità indirette perché non si realizzava attraverso la possibilità di controllare i movimenti in terraferma ma dettando le regole sulla navigazione e sulle merci trasportate: il livello di controllo sui commerci non risultava molto differente.
All’interno di questo stato di cose, ricordiamo che la maggior parte delle entrate statali della Serenissima era costituita dai dazi imposti nel commercio del sale e forse sorprenderà sapere che in Abruzzo, presso la foce del Salinello (il nome è indicativo), c’era una buona produzione di questa materia. Si deve quindi pensare che il commercio del sale via terra poteva seguire le regole stabilite dalle autorità locali, ma quello via mare (più consistente e remunerativo) era sotto il controllo veneziano che arrivò ad imporre un passaggio obbligatorio presso il capoluogo lagunare.
Il fatto che non ci fossero in Abruzzo importanti strutture portuali con relative autorità di controllo, spiega l’assenza di tracce significative dei traffici che avvenivano presso le foci di quasi tutti i piccoli fiumi della nostra regione. Ritornando alla città di Penne come sede mercantile, è il caso di ricordare che essa è racchiusa tra il Fino e il Tavo che la collegano al mare. Tra le tante foci di fiumi impiegate come porti, si deve menzionare più a sud il Sangro con il particolare, significativo e sempre trascurato, che esso doveva essere molto importante per approvvigionarsi di fichi secchi (i carracini), specialità locale di cui si faceva largo uso nell’alimentazione sulle navi.
Proseguendo con i tanti segni dei traffici commerciali marini nella storia della nostra regione, è il caso di coinvolgere anche i trabocchi che ornano le nostre coste. Pochi sanno che queste strutture erano originariamente semplici apparecchi di sollevamento per eseguire le operazioni di carico e scarico ad una certa distanza dalla riva. L’impiego dei trabocchi era necessario in quel tratto di costa dove ancora li troviamo, tra il porto di Ortona e la foce del Sangro, perché lì sboccano fiumi abbastanza angusti. Le loro dimensioni consentivano il trasporto di merci tra l’interno e la costa (in quantitativi piuttosto limitati) ma non erano tali da permettere l’ingresso di navi alla loro foce, nonostante si trattasse generalmente di naviglio leggero.
A fronte di tutti questi segnali che indicano l’esistenza di rapporti commerciali tra il territorio abruzzese e la Repubblica di Venezia, potrebbe sembrare ancor più inverosimile la carenza di documentazione scritta a riguardo. Una ragione di questo stato di cose si può trovare tirando in ballo un ulteriore aspetto cui si è dato sempre poco peso. La documentazione relativa ai movimenti di merci presso la Serenissima riportava registrazioni in cui la destinazione o la provenienza delle merci era indicata con il nome del porto dove, in base ad accordi commerciali, c’era una rappresentanza veneziana costituita per il controllo del contrabbando. Nella costa adriatica occidentale i porti sotto stretto controllo della Serenissima arrivavano a comprendere quelli delle Marche. Più a sud il controllo era in realtà molto minore se non inesistente (variando anche nei diversi periodi) e rendeva inutile un eccessivo dettaglio. Per questo motivo, tutta la merce proveniente o destinata a porti adriatici del Regno di Napoli veniva genericamente riferita alla «Puglia», dove in effetti erano localizzati porti più importanti. In tal modo è stato impedito che si conservasse memoria dei traffici commerciali tra Venezia e le località abruzzesi (e molisane).
A completamento di questa rassegna delle tracce lasciate in Abruzzo da antichi rapporti con la Serenissima Repubblica di Venezia, è il caso di segnalare alcuni indicatori che non troviamo sul territorio o su documenti storici bensì nelle usanze ancora vive nella nostra popolazione. La più evidente riguarda la consuetudine di consumare la tradizionale «veneziana» (vinizijane), la corroborante e gustosa bevanda calda di cioccolato e caffè, ben nota nei secoli scorsi in tutto il Centro-Nord d’Italia e oggi presente solo nella nostra regione.
Altri indizi di questo genere possiamo individuarli in un gruppo di vocaboli presenti nel nostro dialetto. Si tratta di termini tipicamente veneti che non hanno goduto di un utilizzo diffuso nell’italiano e che quindi devono ritenersi provenienti direttamente dall’area veneta. Segnaliamo innanzi tutto il verbo abbittima’, lamentarsi insistentemente, che deriva da «pìttima», figura tradizionale della Serenissima, autorizzata a molestare verbalmente il debitore attraverso un persecutorio lamento sulle difficoltà cui va incontro il creditore a causa del mancato pagamento del debito. Possiamo citare, poi, i formati di pasta del tipo taccune, taccuncille, taccuzzelle ecc. che prendono il nome dal veneto «tacón», pezza o toppa, perché ne richiamano la forma.
Esistono, infine, molteplici corrispondenze lessicali tra le due aree linguistiche che appaiono sorprendenti e impressionanti. Si possono citare, ad esempio, fruga’ (usurare tessuti); cùtele (gonna lunga tradizionale con balze, corrispondente al veneto «còtola», gonna) e paparazze (vongole che in Veneto chiamano «pevarasse»).
Converrete anche voi che l’assieme di questi riferimenti, ricavati senza aver condotto una ricerca storica metodica, permette di intravvedere con una buona nitidezza uno scenario, per molti versi imprevedibile, in cui il territorio abruzzese era frequentato da commercianti veneti e le nostre coste da naviglio appartenente alla marineria della Serenissima.
Speriamo che quanto abbiamo esposto possa invogliare esperti e studiosi della nostra storia all’approfondimento di queste relazioni, importanti ma semisconosciute, secondo i metodi canonici della ricerca storica.
Ultimo aggiornamento ( 17 Gennaio 2023)